Questo resoconto nasce dall’esigenza di fare memoria di ciò che ci ha guidato fin qui. Riflettere sui successi e sui fallimenti, ci può dare gli strumenti per comprendere il presente e illuminare di senso il futuro della Casa del Bambino
ALLA FRONTIERA
La CdB nasce in un territorio di frontiera dove persone di varia provenienza culturale e sociale convivono, si incontrano e condividono bisogni e speranze. Dove il sopravvivere diventa priorità e l’emergenza una consuetudine. Il territorio di frontiera può far paura perché è il luogo per eccellenza della discontinuità e della mobilità, del movimento e del passaggio. Ma la frontiera è anche lo spazio dell’incontro, dello scambio e della realizzazione di relazioni che generano cambiamento. La Casa del Bambino ha assunto su di sé questi valori e queste criticità ed è diventata essa stessa luogo di frontiera, vivendone i limiti e le opportunità. Dopo un ventennio di attività, abbiamo deciso che era giunta l’ora di mettere per iscritto la nostra storia, i valori che suggeriscono il nostro agire e ci spingono a continuare a sognare per costruire insieme una possibilità di crescita umana più giusta e positiva. Questa riflessione vuole essere uno strumento di lavoro, nato dall’esperienza e dalla tenacia di chi crede che è possibile fare cose grandi anche con piccoli mezzi. Il percorso educativo per minori elaborato in questo documento è frutto dell’esperienza maturata negli anni; esperienza che è passata per alcuni successi ma anche per non pochi fallimenti. In questo percorso numerosi volontari sostenuti dalla Associazione di Volontariato Black and White hanno camminato con noi, condividendo il nostro impegno e il nostro metodo educativo. Il nostro target sono i minori, la nostra proposta è educativa, le nostre pratiche sono volte a creare opportunità, spazi di incontro, scambio, risposte ai bisogni che favoriscano una sana crescita umana superando i pregiudizi e la paura dei conflitti. Attraverso l’azione educativa con i bambini vogliamo riscoprire il valore del territorio di frontiera come luogo di opportunità. La nostra sfida è realizzare quel cambiamento sociale e umano che porti tutti a migliorare la qualità di vita dei singoli e della comunità.
COMPLESSITÀ DEL CONTESTO
Non si può iniziare un’analisi del complesso contesto di Castel Volturno ragionando a compartimenti stagni, come se i disagi e le opportunità che ne nascono – immigrazione, camorra, ambiente degradato, integrazione-interazione, condizioni di lavoro, sfruttamento, povertà, urbanistica – possano essere scomposti e risolti o raccolte separatamente. E’ difficile trovare la causa scatenante del degrado. Alcuni vi trovano le origini nel bradisismo di Pozzuoli degli anni ’80, quando gli sfollati sono stati accolti nelle seconde case della riviera Domitia. Altri sottolineano come a Castel Volturno sia mancata una programmazione capace di gestire la corsa dalle campagne alla costa e come questa mancanza sia stata la causa di un sistema di abusivismo e di clientele, fatto di legami tra Camorra, imprenditori e Stato, che perdura tutt’oggi: il caso della famiglia Coppola è esemplare. Possiamo però dire che Castel Volturno è comunque un non-luogo funzionale al sistema: bacino di forza lavoro a basso prezzo, cloaca della grande industria che vede la possibilità di smaltire rifiuti tossici a basso costo, città invivibile dove è possibile concentrare un numero altissimo di immigrati irregolari, dormitorio per chi non può più permettersi una casa a Napoli o a Caserta: zona grigia dove è difficile stabilire con certezza che cosa è la legalità. Nel sistema non può non esistere una Castel Volturno che funzioni come valvola di sfogo, di conseguenza la città diventa un’ottima vetrina per le operazioni dello Stato che quando vuole mostrare la sua presenza si inventa il “modello Caserta”, le associazioni crescono come funghi. Non a caso i Missionari Comboniani, che hanno nel loro carisma quello di stare con “i più poveri e abbandonati”, hanno scelto nel 1996 Castel Volturno come luogo per la missione di accompagnamento di un’Africa che torna a noi. Castel Volturno è quindi una realtà complessa che come tale non va semplificata ma analizzata.
L’IMMIGRAZIONE
Negli ultimi trent’ anni il numero di immigrati presenti sul territorio è aumentato notevolmente e, da luogo di villeggiatura Castel Volturno è passata ad essere una città tra le più sature di manodopera extracomunitaria. Gli immigrati dell’Africa sub-sahariana costituiscono una parte rilevante della popolazione straniera residente a Castel Volturno. Ciò è dato dalla vasta possibilità di occasioni di lavoro temporanee e precarie che l’economia locale offre. Le opportunità di lavoro vengono offerte da chi cerca lavoro a basso costo (lavori in campagna, giardiniere, muratore) che raccolgono i migranti presso i Kalifoo ground, ossia punti della città dove si incontrano i migranti per lavorare a giornata: 10/12 ore di lavoro nei campi o nei cantieri per 24 euro al giorno. Nell’area di Castel Volturno i maggiori Kalifoo Ground sono a Giugliano, Licola, Aversa, Villa Literno, Cancello Arnone, Arzano, Pianura. Possiamo quindi affermare che questo territorio è un punto di riferimento per gli africani perché permette di vivere in una condizione di “galleggiamento” o “invisibili”, ossia di irregolarità, ma anche di recuperare le reti di connessione con i paesi di partenza. I primi migranti stranieri arrivarono a Castel Volturno alla fine degli anni ottanta, alloggiando in parte di quelle 25 mila costruzioni abusive presenti nel Comune. Nate intorno agli anni 60 come seconde case di napoletani e casertani, queste abitazioni sono state utilizzate negli anni 80 per dare un tetto ai terremotati dell’Irpinia, di Napoli e successivamente di Pozzuoli. Finita l’emergenza queste case, lasciate in condizioni disastrate, sono state affittate ad immigrati senza regolare contratto. Ballarini in “Immigrazione, la lezione di Castel Volturno” (Nigrizia 2008) riporta le testimonianze dei primi migranti, i quali hanno raccontato di essere stati accompagnati dalle forze dell’ordine delle varie province del Sud alla stazione ferroviaria più vicina, con il consiglio di andare a Castel Volturno, dove sarebbero stati al sicuro. Là, certamente, c’era un tetto sotto cui dormire. Poi la voce e il richiamo etnico ha favorito la formazione delle comunità attuali. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Nigeria con il 35,5% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dal Ghana (10,1%) e dall’Ucraina (7,0%). Prendendo spunto da una definizione di Sayad, gli immigrati di Castel Volturno sono visti solo ed esclusivamente come “forza – lavoro provvisoria, temporanea e in transito”: devono lavorare ma poi devono sparire dagli spazi di vita sociale locale. Danno fastidio ma sono anche quelli che mantengono l’economia locale, in particolare quella degli affitti, e consentono a molte imprese di sopravvivere grazie al basso costo del lavoro immigrato. Alain Badiou sostiene che l’immigrato è quella persona che mette realmente in crisi i criteri dello stato e delle frontiere ma nello stesso tempo è “pre-politico”. Questo si osserva anche nella vita a Castel Volturno: ci sono luoghi e spazi in un certo senso autogestiti dagli immigrati, con proprie leggi e propri sistemi di soluzione dei problemi ma, nello stesso tempo, manca una organizzazione capace di rivendicare i propri diritti e la propria esistenza. La situazione di Castel Volturno, come di altre zone del Paese, dimostra l’incapacità dello Stato italiano di affrontare seriamente il problema della totale assenza di diritti dei migranti, che li rende sfruttabili da ogni punto di vista, trasformandoli in schiavi moderni. In Italia, infatti, la legislazione in materia di immigrazione è particolarmente disastrosa. Questo è dovuto a svariati elementi, sicuramente di rilievo è il ritardo con cui si è preso coscienza della problematica. Basti pensare che la prima legge arriva solo nel 1986 e regolava solo l’ingresso degli immigrati che cercavano un impiego. Questi venivano considerati temporanei e non erano contemplati particolari regole per la convivenza. Negli anni si sono succedute diverse leggi ma nessuno sembra veramente occuparsi del problema. Come afferma Bolaffi in “una politica per gli immigrati” gli interventi sull’immigrazione sono stati poco incisivi, tipici dei cosiddetti governi deboli. E negli ultimi anni ancora più aggravati dai due decreti Salvini che hanno reso ancora più complicato e difficile cercare un tentativo di un azione sistematica e concordata di un piano per valorizzare e integrare la presenza migratoria sul territorio nazionale. Ma soltanto ostacolare e riportare indietro le lancette della storia e delle migrazioni di diversi decenni.
LA LUDOTECA CASA DEL BAMBINO
Nel giugno del 2004 p. Giorgio Poletti, missionario comboniano, chiede ad un gruppo di giovani frequentanti un corso di mediazione culturale di unirsi all’associazione Black and White per iniziare un progetto di accoglienza di minori stranieri, figli di donne vittime della tratta. Il progetto prevedeva la creazione di uno spazio dove accogliere dignitosamente i figli di queste mamme, che per vari motivi non trovavano il posto nelle scuole pubbliche, e perciò, costretti a restare in casa tutto il giorno accuditi da cosiddette “mamme di comunità”. L’inizio ufficiale delle attività è il 18 ottobre 2004 quando si inaugurò la Casa del Bambino, un luogo che accoglieva bambini dai 18 mesi ai 5 anni di età affidati ad alcuni volontari. Fin dall’inizio la Casa del Bambino si è strutturata ed organizzata in maniera adeguata per rispondere alle esigenze dei bambini, in età prescolare (dai 3 ai 5 anni) provenienti da diverse regioni del mondo (Nigeria, Ghana, Liberia, Polonia, Ucraina, Romania). L’obiettivo principale della nascente struttura era quello di offrire un posto dove poter giocare in sicurezza, instaurare relazioni positive con altri bambini e acquisire conoscenza e consapevolezza del proprio Io. I bambini iscritti passarono dai 10-12 degli inizi, fino ad arrivare a 35 bambini accolti a fine luglio dello stesso anno. Anche la composizione umana degli utenti cambiava continuamente: dapprima i bambini figli delle donne affidate alla comunità comboniana; attraverso il passaparola all’interno della comunità nigeriana, ci fu un notevole afflusso di bambini provenienti dalla suddetta comunità; successivamente arrivarono i bambini della comunità ucraina e polacca di Castel Volturno.L’anno successivo p. Giorgio decise di continuare quello che era nato come una “prova”, come un tentativo e che invece si era dimostrato un grande progetto. Riconoscere che tutti i bambini hanno dei diritti a prescindere dalle origini: diritto all’educazione e all’istruzione, diritto alla salute e diritto a vivere dignitosamente, sono stati i capisaldi del progetto nascente. In seguito, fu scelta e ristrutturata secondo le esigenze del progetto la sede storica sita in via Domitiana 561 che, secondo l’idea originaria di P. Giorgio stava diventando veramente “una creatura di Dio” perché offriva la possibilità a persone, di origini e culture più diverse, di avvicinarsi e condividere il medesimo cammino esistenziale. Negli anni successivi la Casa del Bambino continuava a crescere nella sua sede storia sulla via Domitiana; sempre più famiglie, italiane e non, si rivolgevano a tale servizio, che nel frattempo diveniva sempre più qualificato e attento alle persone; sempre più volontari si avvicinavano a questo progetto, contribuendo ad arricchirlo di un valore aggiunto, di un’umanità profonda.
DIVENTARE UN CENTRO EDUCATIVO TERRITORIALE
Nel corso degli anni si è entrati in una riflessione ancora più profonda sul luogo dove si svolgeva questa attività rivolta ai bambini. E vi sono stati alcuni cambiamenti importanti.
– Insediamento a Destra Volturno: a luglio 2013 abbiamo deciso di spostare il centro nel quartiere di Destra Volturno. La motivazione principale di questo spostamento è la necessità di essere più incisivi nel processo di trasformazione e di essere inseriti dove la gente vive e non su una strada di passaggio, come è la Domitiana.
– Dalla “beneficenza” alla ricerca di autonomia: abbiamo iniziato a vedere che il modello consueto di rispondere immediatamente alle esigenze pratiche era oramai fallimentare. C’è stato un vero e proprio cambio di paradigma dove al centro viene messa la persona e la sua dignità. In questo percorso l’obiettivo è quello di favorire l’autonomia, la capacità cioè di acquisire gli strumenti per diventare autonomi e capaci di propria identità e decisioni.
– Da “ svantaggiati” a “bambini”: Un altro cambio di paradigma è stato l’iniziare a vedere che se volevamo veramente essere un centro territoriale volto al cambiamento, era necessario almeno tentare di uscire dal triangolo vittima, carnefice, salvatore. Il cambiamento doveva necessariamente passare per l’abbandono di un modello educativo fondato, come ritiene Berne, “sull’idea di essere un Genitore che salva vittime”.
IL CENTRO MINORI
Le attività educative ed il sostegno scolastico della Casa del Bambino e il suo doposcuola sono una realtà affermata e apprezzata da diversi settori del territorio di Castel Volturno: scuola, istituzioni, altre associazioni e famiglie. Un indicatore importante di questo risultato è la presenza sempre più numerosa di bambini “bianchi”, figli di famiglie italiane, che partecipano alle nostre attività. Questo dato ci fa dire con sempre più sicurezza che stiamo uscendo dal “ghetto” e che riusciamo a comunicare in maniera sempre più decisa la nostra filosofia di fondo e cioè che non siamo una scuola speciale per bambini poveri e svantaggiati ma siamo un centro educativo territoriale che ha come obiettivo principale l’aiuto alla trasformazione del territorio. Il metodo educativo utilizzato è quello costruito affrontando problemi che ci hanno spinto verso la riflessione e la ricalibrazione dei nostri interventi. Questo agire si deve confrontare realisticamente con l’attacco allo stato sociale. In questo contesto trovare risorse per il sociale diventa una sfida sempre più difficile. La nostra metodologia nasce dalla dialettica tra riflessione – valori – prassi. Questo ci consente di uscire dalla logica delle “procedure” dove senza considerare la persona si applica ad ogni problema lo stesso cliché di intervento. È quindi centrale mettere al centro la domanda dell’operatore, la sua curiosità, il suo esserci. La nostra metodologia va quindi inserita all’interno del nostro orizzonte, un orizzonte fatto di valori:
• Libertà: intesa come capacità dell’uomo di optare per ciò che ritiene giusto o rifiutarlo.
• Consapevolezza: intesa come capacità dell’uomo di diventare oggetto della propria riflessione, sviluppo cioè dell’autocoscienza e capacità di diventare sempre più complessi
• Intersoggettività: capacità di un IO e di un TU di entrare in relazione nel rispetto delle singole soggettività.
• Responsabilità: intesa come l’onere per l’uomo di essere causa della sua storia e delle sue azioni.
Questi valori vanno coniugati nel contesto sociale in cui siamo inseriti. L’idea di Comunità è un’idea che ci orienta e ci guida. Proprio qui dove sembra manchi una trama che tiene insieme le persone è importante creare comunità, tentare cioè di essere alternativi a quella parte di realtà che stiamo in qualche modo contrastando e sfidando.
DESTRA VOLTURNO, CENTO PASSI AVANTI
Come descritto nel documento del Comune di Castel Volturno, “Piano Urbanistico Comunale” pubblicato nel 2011 apprendiamo che l’area di Destra Volturno (comune di Castel Volturno) venne bonificata nel 1881 con regio decreto che prevedeva la costruzione di una strada di collegamento tra il fiume Volturno ed il canale di Bagnara fino a Mondragone. Questa strada consortile, attualmente Viale Gramsci, divideva in due una vasta zona agricola, la prima verso il mare parallela all’arenile e l’altra verso l’entroterra che, con lo stesso decreto veniva lottizzata con destinazione agricola dando ogni lotto al capofamiglia, delle famiglie della zona, per il proprio sostentamento. Un secondo decreto nel 1931 previde una analoga lottizzazione per la parte a monte della medesima consortile. Allo stato attuale l’intera area di Destra Volturno è caratterizzata da una complessità urbanistica derivante dall’assenza di un piano regolatore edilizio che ha permesso, nel corso degli anni, uno sviluppo edilizio fuori da tutte le regole. È il fenomeno dell’illegalità diffusa legata al ciclo del cemento, ossia la costruzione di immobili senza autorizzazioni o in aree dichiarate inedificabili. In questa area ha raggiunto proporzioni ragguardevoli provocando pesanti conseguenze sullo sviluppo urbanistico, sulla qualità del paesaggio, sull’economia e sulla sicurezza del territorio. L’esplosione dell’abusivismo risale agli anni Settanta, quando abusivamente venne realizzato un numero impressionante di nuove unità immobiliari. Le seconde case, spesso lasciate vuote o occupate pochi giorni all’anno, invasero la zona di Destra Volturno, sorgendo senza ordine né coerenza, alterando l’ecosistema esistente. Oggi, venute meno le condizioni per un turismo estivo, a Destra Volturno si vive una realtà sociale caratterizzata da una forte presenza di immigrati (provenienti per la maggioranza dal Ghana e Nigeria, sono comunque presenti anche Rom, Iraniani e Nord-Africani) e da una comunità italiana costituita soprattutto dagli sfollati del terremoto di Napoli e del bradisismo di Pozzuoli dagli anni ’80. Destra Volturno sembra abbandonata dallo stesso Comune, tra le strade si trovano spesso rifiuti, anche ingombranti, a volta anche pericolosi. Non esiste alcun complesso scolastico, l’unico presente era un asilo nido ed è stato chiuso ad ottobre 2011 per mancanza di fondi. Ora è diventato la nostra sede per la Casa Black and White. Non ci sono luoghi di ritrovo a parte i numerosi bar in zona, non c’è alcuna offerta culturale, aggregativa o ludica per i bambini. Durante l’estate la zona si ravviva per la presenza dei turisti provenienti soprattutto dal napoletano, creando maggiori difficoltà di convivenza tra le popolazioni migranti ed autoctone. In questo contesto ci è sembrato opportuno e naturale insediarsi in questo parte del territorio di Castel Volturno. Qui si offrono le condizioni per poter generare quel cambiamento a cui miriamo e ad una presenza missionaria pastorale e comunitaria cristiana di cambiamento che desideriamo.
IL CAMMINO DI QUESTI ULTIMI ANNI: MOTIVAZIONI, METODI, PROGETTI E IMPATTO SUL TERRITORIO
La Casa del Bambino si è radicata ormai a Destra Volturno dal luglio del 2013. Sono cambiate le persone, un nuovo coordinatore, un nuovo responsabile comboniano per la Black&White. Un educatore, il più giovane, Francesco, è rimasto dagli inizi e rimane anche come testimonianza e memoria storica del nostro passato. Raffaella è arrivata nel momento in cui la Casa del Bambino si spostava a Destra Volturno. Maria Chiara qualche anno dopo, come esperienza di servizio civile, poi entrata a pieno diritto nell’organico del centro. Tuttavia quello che ci interessa non sono le persone e la loro leadership, ma la loro visione e il loro impegno nel mettere al centro dell’attenzione e valorizzare i bambini e i ragazzi, la loro fatica di crescere, e i loro sforzi per rendersi protagonisti della loro vita e del loro futuro. Per noi questo è il cuore pulsante del progetto Casa del Bambino oggi. Che grazie ad una rinnovata capacità di comunicare questa mission riesce dal 2015 ad attrarre la fiducia e i finanziamenti di Mondo Aperto (Missionari Comboniani) e Fondazione San Zeno (Fondazione San Zeno). Certamente deve cercare altre sorgenti di di finanziamento privato per il suo funzionamento e con la nuova visione che si sta prospettando. Centinaia di bambini e ragazzi sono passati dalla nostra struttura, alcuni se ne sono andati, molti si sono fermati, e frequentano regolarmente le attività ordinarie ed estive, tanto che il gruppo dei veterani, che ormai sono cresciuti e sono fuori target in quanto frequentanti ormai le scuole superiori, ora fa da piccoli maestri/tutor, affiancando da due anni gli operatori nelle attività con i bambini iscritti. Si sono svolte tante feste, di Halloween, di Natale, di Primavera/Pasqua, di Carnevale, tante cacce al tesoro, tanti eventi di animazione del territorio attraverso i bambini. I bambini e ragazzi si sono esibiti in diversi spettacoli teatrali, musicali e di danza. Sono aperti e accoglienti, stimolati a superare i propri limiti e ad aprirsi al nuovo, al diverso. Partono da situazioni familiari piuttosto problematiche, un po’ tutti, ma dall’incontro con gli altri ragazzi e con gli operatori riescono a prendere esempio sano e impulso per la propria crescita e per il proprio miglioramento umano. Non mancano i momenti in cui gli operatori si sentono in difficoltà, data la multiproblematicità di un quartiere ghetto come quello di Destra Volturno, scelto proprio perchè più al margine e di frontiera, ma il gruppo regge, sulla base di una continua condivisione delle difficoltà stesse e delle decisioni operative con cui affrontarle. Dopo un lungo lavoro di supervisione psico-pedagogica, il gruppo è cresciuto in competenze e problem solving, si è collaudato negli anni dal 2014 ad oggi, ed ora è in grado di affrontare tematiche e situazioni complesse con grande spirito di collaborazione e lavoro di squadra. E’ stato difficile, a giugno 2018, prendere la decisione di chiudere l’altro doposcuola che la Black&White aveva iniziato nei locali del Centro Caritas, il doposcuola We Care, che funzionava dal 2015. Ma quando ci siamo resi conto che disperdere le energie in termini di risorse umane e finanziarie per un progetto che non trovava più il sostegno delle famiglie migranti che per primi avevano espresso un bisogno in tal senso, abbiamo dovuto prendere atto della necessità di porre fine a questa esperienza e concentrare le energie della Black&White sulla realtà più sperimentata, la Casa del Bambino, che ha acquistato una credibilità sul territorio, oltre che il riconoscimento delle altre realtà, sia istituzionali che associative. Il quartiere di Destra Volturno ha ormai accolto e riconosciuto la “Casa del Bambino” come centro educativo e di aggregazione non solo per i bambini ma anche per la popolazione adulta.
Ricordiamo gli obiettivi specifici del progetto:
• Assicurare un luogo accogliente ed educativo a bambini/ragazzi che si trovano in un territorio fortemente marginale.
• Garantire ai bambini/ragazzi l’uscita, per buona parte della giornata, da contesti familiari altamente problematici e potenzialmente pericolosi.
• Garantire un rinforzo educativo, formativo, linguistico contrastando il diffuso fenomeno della dispersione scolastica, rafforzando l’attenzione sull’organizzazione di un doposcuola pensato, dal punto di vista educativo e ludico, sulle specifiche esigenze dei ragazzi di un territorio quale quello di Destra Volturno.
• Favorire la relazione, ad oggi caratterizzata per lo più dall’indifferenza e dalla separazione, fra i minori autoctoni e migranti.
• Favorire politiche di interazione e integrazione tra la popolazione autoctona e quella straniera presente sull’area domitia, promuovendo con fiducia e impegno un’esperienza positiva e arricchente di relazione con gli immigrati in una comunità locale in particolare difficoltà.
• Favorire la partecipazione attiva dei genitori nel percorso di crescita dei propri figli attraverso un percorso di sostegno alla genitorialità.
• Favorire la partecipazione alla vita scolastica delle famiglie dei minori stranieri presenti sul territorio sostenendo la costruzione di una relazione positiva ed adeguata con la scuola.
• Favorire la promozione di un diverso modello di relazione tra immigrati e autoctoni e un percorso partecipato di costruzione di cittadinanza attiva e di avvicinamento degli adulti al centro educativo.
AVANTI PER GUARDARE OLTRE
Al momento in cui scriviamo, luglio 2020 per l’Assemblea della Black&White, siamo usciti da un momento molto difficile. A dicembre grazie a Padre Daniele Moschetti, subentrato a P. Antonio Guarino da giugno 2019 alla guida della Black&White, abbiamo potuto cambiare sede e passare in una sede più grande, comoda, e adatta a tutte le attività previste dai nuovi progetti per il prossimo centro aggregativo e culturale chiamata Casa Black and White. La Casa del Bambino passa gioiosamente il testimone a questa realtà che si sta costruendo con nuovi progetti e presenze di giovani, adulti e donne, oltre ai ragazzi. A gennaio 2020 sono cominciate le attività nella nuova sede di Viale Fiume Po, inaugurata il 15 febbraio, ma purtroppo l’emergenza sanitaria covid-19 ha fermato tutte le attività del doposcuola del progetto educativo dal 9 marzo fino al 27 giugno. E’ stata una prova durissima, la prova della distanza, della impossibilità di relazione e di vicinanza fisica, così importante soprattutto per i bambini in età scolare, che abbiamo provato a superare attraverso l’uso delle tecnologie di videochiamata per stare vicini a loro e sostenerli e aiutarli nei compiti che gli insegnanti proponevano loro in didattica a distanza. Una sfida nuova e finora inimmaginabile, che ha messo a dura prova le energie di tutti nel tentativo di affrontare le numerose frustrazioni che venivano dalla condizione di quarantena e chiusura del paese. Inoltre il fermo è stato anche di tipo finanziario, dato che per il congelamento delle attività siamo stati costretti a “congelare” le tranche di finanziamento del primo semestre 2020 della Fondazione Mondo Aperto e della Fondazione San Zeno. Ma i progetti non si sono fermati, e dall’uscita della Ordinanza Regione Campania in merito al protocollo per il contenimento dei contagi e misure di prevenzione di sars covid 2, abbiamo cominciato a progettare il campo estivo “Tutti nella stessa barca”, che pur con tutte le difficoltà e le procedure rallentate e macchinose previste dalle misure di prevenzione e contenimento, dal 1 al 31 Luglio 2020. Siamo anche felici della grande possibilità e della potente sfida educativa che ci pone, dopo la fine del nostro campo estivo, la partecipazione del gruppo di lavoro della Casa del Bambino al campo estivo per ragazzi e adolescenti che i Missionari Comboniani organizzano con la parrocchia presso la Casa Black and White, la nuova sede di Destra Volturno, dal 3 al 8 agosto 2020.
Quindi, come sempre guardiamo oltre e avanti, nella prospettiva bella ed entusiasmante di quelle che saranno le diverse attività del nuovo centro, nel rispetto e nella gratitudine per la nostra storia.