COMPLESSITÀ DEL CONTESTO
Non si può iniziare un’analisi del complesso contesto di Castel Volturno ragionando a compartimenti stagni, come se i disagi e le opportunità che ne nascono – immigrazione, camorra, ambiente degradato, integrazione-interazione, condizioni di lavoro, sfruttamento, povertà, urbanistica – possano essere scomposti e risolti o raccolte separatamente. E’ difficile trovare la causa scatenante del degrado. Alcuni vi trovano le origini nel bradisismo di Pozzuoli degli anni ’80, quando gli sfollati sono stati accolti nelle seconde case della riviera Domitia. Altri sottolineano come a Castel Volturno sia mancata una programmazione capace di gestire la corsa dalle campagne alla costa e come questa mancanza sia stata la causa di un sistema di abusivismo e di clientele, fatto di legami tra Camorra, imprenditori e Stato, che perdura tutt’oggi: il caso della famiglia Coppola è esemplare. Possiamo però dire che Castel Volturno è comunque un non-luogo funzionale al sistema: bacino di forza lavoro a basso prezzo, cloaca della grande industria che vede la possibilità di smaltire rifiuti tossici a basso costo, città invivibile dove è possibile concentrare un numero altissimo di immigrati irregolari, dormitorio per chi non può più permettersi una casa a Napoli o a Caserta: zona grigia dove è difficile stabilire con certezza che cosa è la legalità. Nel sistema non può non esistere una Castel Volturno che funzioni come valvola di sfogo, di conseguenza la città diventa un’ottima vetrina per le operazioni dello Stato che quando vuole mostrare la sua presenza si inventa il “modello Caserta”, le associazioni crescono come funghi. Non a caso i Missionari Comboniani, che hanno nel loro carisma quello di stare con “i più poveri e abbandonati”, hanno scelto nel 1996 Castel Volturno come luogo per la missione di accompagnamento di un’Africa che torna a noi. Castel Volturno è quindi una realtà complessa che come tale non va semplificata ma analizzata.
L’IMMIGRAZIONE
Negli ultimi trent’ anni il numero di immigrati presenti sul territorio è aumentato notevolmente e, da luogo di villeggiatura Castel Volturno è passata ad essere una città tra le più sature di manodopera extracomunitaria. Gli immigrati dell’Africa sub-sahariana costituiscono una parte rilevante della popolazione straniera residente a Castel Volturno. Ciò è dato dalla vasta possibilità di occasioni di lavoro temporanee e precarie che l’economia locale offre. Le opportunità di lavoro vengono offerte da chi cerca lavoro a basso costo (lavori in campagna, giardiniere, muratore) che raccolgono i migranti presso i Kalifoo ground, ossia punti della città dove si incontrano i migranti per lavorare a giornata: 10/12 ore di lavoro nei campi o nei cantieri per 24 euro al giorno. Nell’area di Castel Volturno i maggiori Kalifoo Ground sono a Giugliano, Licola, Aversa, Villa Literno, Cancello Arnone, Arzano, Pianura. Possiamo quindi affermare che questo territorio è un punto di riferimento per gli africani perché permette di vivere in una condizione di “galleggiamento” o “invisibili”, ossia di irregolarità, ma anche di recuperare le reti di connessione con i paesi di partenza. I primi migranti stranieri arrivarono a Castel Volturno alla fine degli anni ottanta, alloggiando in parte di quelle 25 mila costruzioni abusive presenti nel Comune. Nate intorno agli anni 60 come seconde case di napoletani e casertani, queste abitazioni sono state utilizzate negli anni 80 per dare un tetto ai terremotati dell’Irpinia, di Napoli e successivamente di Pozzuoli. Finita l’emergenza queste case, lasciate in condizioni disastrate, sono state affittate ad immigrati senza regolare contratto. Il giornalista Ballarini in “Immigrazione, la lezione di Castel Volturno” (Nigrizia 2008) riporta le testimonianze dei primi migranti, i quali hanno raccontato di essere stati accompagnati dalle forze dell’ordine delle varie province del Sud alla stazione ferroviaria più vicina, con il consiglio di andare a Castel Volturno, dove sarebbero stati al sicuro. Là, certamente, c’era un tetto sotto cui dormire. Poi la voce e il richiamo etnico ha favorito la formazione delle comunità attuali. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dalla Nigeria con il 35,5% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dal Ghana (10,1%) e dall’Ucraina (7,0%). Gli immigrati di Castel Volturno sono visti solo ed esclusivamente come “forza – lavoro provvisoria, temporanea e in transito”: devono lavorare ma poi devono sparire dagli spazi di vita sociale locale. Danno fastidio ma sono anche quelli che mantengono l’economia locale, in particolare quella degli affitti, e consentono a molte imprese di sopravvivere grazie al basso costo del lavoro immigrato. Alain Badiou, sociologo, sostiene che l’immigrato è quella persona che mette realmente in crisi i criteri dello stato e delle frontiere ma nello stesso tempo è “pre-politico”. Questo si osserva anche nella vita a Castel Volturno: ci sono luoghi e spazi in un certo senso autogestiti dagli immigrati, con proprie leggi e propri sistemi di soluzione dei problemi ma, nello stesso tempo, manca una organizzazione capace di rivendicare i propri diritti e la propria esistenza. La situazione di Castel Volturno, come di altre zone del Paese, dimostra l’incapacità dello Stato italiano di affrontare seriamente il problema della totale assenza di diritti dei migranti, che li rende sfruttabili da ogni punto di vista, trasformandoli in schiavi moderni. In Italia, infatti, la legislazione in materia di immigrazione è particolarmente disastrosa. Questo è dovuto a svariati elementi, sicuramente di rilievo è il ritardo con cui si è preso coscienza della problematica. Basti pensare che la prima legge arriva solo nel 1986 e regolava solo l’ingresso degli immigrati che cercavano un impiego. Questi venivano considerati temporanei e non erano contemplati particolari regole per la convivenza. Negli anni si sono succedute diverse leggi ma nessuno sembra veramente occuparsi del problema. Come afferma Bolaffi in “una politica per gli immigrati” gli interventi sull’immigrazione sono stati poco incisivi, tipici dei cosiddetti governi deboli. E negli ultimi anni ancora più aggravati dai due decreti Salvini che hanno reso ancora più complicato e difficile cercare un tentativo di un azione sistematica e concordata di un piano per valorizzare e integrare la presenza migratoria sul territorio nazionale. Ma soltanto ostacolare e riportare indietro le lancette della storia e delle migrazioni di diversi decenni.